Tutti sappiamo parlare inglese, o almeno è quello che la maggior parte della gente dice. Questo perché l’inglese viene normalmente insegnato a scuola come lingua straniera di default, generalmente a partire dalla scuola primaria, se non già dalla scuola dell’infanzia. A rigor di logica, secondo questo ragionamento l’Italia dovrebbe essere tendenzialmente riconosciuto come un paese bilingue al pari, ad esempio, dei Paesi Scandinavi. Ma così non è.
Perché, allora, se buona parte degli italiani ha studiato inglese sin dalla scuola primaria, spesso (e soprattutto nelle cittadine di provincia) i nostri connazionali non sono in grado di dare delle semplici indicazioni ai turisti in visita nel Bel Paese? O perché si spaventano davanti a un’indicazione in inglese? E ancora, come mai tante persone si rifiutano di continuare una conversazione se qualcuno introduce una parola o un concetto in inglese?
Idealmente, è possibile dividere gli italiani in tre gruppi:
A meno che non vi troviate davanti un grammar nazi (in maniera simpatica, si definiscono così quelle persone che criticano e correggono l’utilizzo della lingua da parte di persone che non la usano correttamente), la conversazione è generalmente un processo molto più semplice: l’importante, in questo caso, è farsi capire e comprendere il discorso generale dell’interlocutore. Non importa che sbagliate tempo verbale o che utilizziate un sinonimo del termine corretto (o una parafrasi perché non ricordate o non conoscete quello esatto) o, ancora, che non facciate l’inversione verbo-soggetto per porre una domanda, e così via. Nella produzione orale è quasi tutto lecito, soprattutto se pensiamo al fatto che molte persone parlano l’inglese come seconda lingua (e quindi magari fanno errori esattamente come noi) o che molto spesso neppure gli inglesi (o americani) stessi conoscono o rispettano pedissequamente ogni regola grammaticale, così come succede agli italiani e in generale, del resto. Comunicare, dunque, risulta paradossalmente più semplice, soprattutto per quelle persone molto spigliate che imparano in fretta e che non temono di sbagliare, ma puntano più che altro a trasmettere un messaggio.
Scrivere, invece, è completamente diverso. La parola scritta rimane, e così l’errore. È per questo che bisogna perdere molto più tempo, pensare a ciò che si vuole dire, capire se effettivamente il messaggio è chiaro a tutti, utilizzare una grammatica corretta, il tempo verbale giusto, il termine con la sfumatura di significato che più si addice a quell’occasione… E sebbene l’inglese sia una lingua con poche regole da memorizzare (ma tante eccezioni e casi particolari!), scrivere in inglese può risultare più difficile di quanto si pensi, soprattutto per quelle persone che l’inglese lo hanno imparato parlandolo. La struttura della frase, la terminologia, il significato, la comprensibilità del testo finale sono alcune delle cose da prendere in considerazione nella produzione scritta.
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Quali sono dunque le tecniche di writing e i trucchetti migliori per migliorare la scrittura in inglese e produrre un testo impeccabile da tutti i punti di vista?
Perché grammatica e contenuto sono entrambi importanti per la produzione scritta, così come lo sono i realisti e i sognatori nella vita.
“There are dreamers and there are realists in this world. You'd think the dreamers would find the dreamers and the realists would find the realists, but more often than not the opposite is true. You see, the dreamers need the realists to keep them from soaring too close to the sun. And the realists, well without the dreamers, they might not ever get off the ground.”
“Ci sono i sognatori e ci sono i realisti a questo mondo. I sognatori spesso trovano i sognatori e i realisti trovano i realisti, ma più spesso di quanto si pensi succede il contrario. I sognatori hanno bisogno dei realisti che gli impediscano di volare troppo vicino al sole e i realisti, beh, senza i sognatori potrebbero non alzarsi mai da terra.”
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